Io sono, tu 6: Episodio Uno – Il Rito


(un soggetto per una sceneggiatura che ho iniziato a scrivere e riscrivere tempo fa, provo a buttare giù qualcosa qui).

Un collo, muscoloso, il pomo d’Adamo si muove in un sussulto mentre la saliva scende lungo quel ruvido canale. Una mano, la sua, cinge la scena appena illustrata, avvolgendola. Il movimento delicato di quella grande mano, con le dita lunghe, affusolate e leggermente storte, sale, accarezzando quella poca barba ricresciuta, su quel mento un po’ sporgente che porta i segni delle sue radici. La mano scorre sul viso, inseguita curiosamente da voi, spettatori, che in questo momento siete insieme a me un punto immaginario, bramoso di ogni piccolo fremito che ha quell’essere. La mano si allontana, la nostra concentrazione così allarga il campo visuale, scoprendo uno spazzolino rosso, un rasoio lasciato incustodito. La mano sembra soffermarsi su questi oggetti, ma passa oltre e prende una confezione di lenti a contatto. Le afferra e con la mano gemella le scarta quasi brutalmente in un tremore silenzioso, calcolato. Le lacrime bagnano le dita di entrambe le mani e i gesti cominciano ad assumere quella ritualità che solo lui conosce così profondamente. Il suo occhio si apre e, noi, curiosi di guardare quest’uomo in volto ci fiondiamo sopra di lui, che ha rivolto il capo all’indietro e spalancato un occhio verso il soffitto, un occhio verde. La lente viene calata dalla mano esperta e si posiziona al centro di quell’occhio che è fisso in stato offline.
Il nostro punto di vista è troppo fremente di scoprire sensorialmente, non solo visivamente quell’atto, così ci tuffiamo in quel pozzo color dei prati e sentiamo il bruciore sfrigolante che fa l’occhio quando accoglie la lente, simbionte esterno. Ma non basta: bisogna entrare più all’interno. Così ci immergiamo, nella testa dell’uomo.
Buio.
L’uomo ha chiuso gli occhi dopo aver messo la seconda lente, sentiamo il suo respiro in quella frazione di secondo in cui il suo corpo si adatta a quel dolore leggero. Poi dal buio entra la luce dai suoi occhi, come un aurora del mattino. In quella frazione, in quel raggio verde al contrario, ci appare qualcos’altro: delle altre ombre, proiettate su quel prato istantaneo che svanirà appena il sole sarà sorto.
Come degli alberi in una foresta, 6 sagome si stagliano, forme diverse, alcune sedute su ceppi d’albero, altre, alte che sembrano guardarci. Non riusciamo a distinguere nulla se non il loro profilo, perché un attimo dopo, quando gli occhi si aprono, veniamo catapultati fuori da quel cervello.
Storditi non possiamo far altro che riabituarci alla luce e guardare davanti a noi, uno specchio…
…ed il viso di quell’uomo.

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