Per capire bene il significato del racconto, vi consiglio di farvi una tisana, un te o un caffè caldo fumante e di pensare a queste parole (e alle citazioni contenute) come trasportate dal vapore della bevanda sotto il vostro naso.
Mi è capitato recentemente di ripensare alle profetiche parole del mio professore di Topografia delle Superiori (e non chiamatelo Liceo se non lo è, mannaggia porca).
Dopo un esame orale impeccabile, in cui ho dato il massimo ed ho ottenuto il massimo, il professore mi stringe la mano e mi dice apertamente “E mò so cazzi!”.
In un edonistico pensiero mi è suonato come la frase “Via e spacca il mondo” che mio padre mi ripete sempre per darmi forza, come se “i cazzi” ce li avesse il mondo ad affrontare un figo come me, ma come giustamente intendono entrambi, è la durezza della vita che arriva e ti si spatascia addosso.
All’Università è stata dura, a sentirmi continuamente le lamentele dei colleghi che non riusciranno a lavorare con il padre (Ingegnere) per la lungimiranza, a parer mio di quest’ultimo, perché “è brutto e cattivo” secondo il modesto parere del figlioccio d’oro.
“Aspetta di uscire dall’Università e vedrai cos’è il mondo del lavoro! Tu si che stai nel limbo ora”
poi uno si laurea, trova un lavoro d’ufficio (dove sta 9 ore sul pc a progettare cose ben oltre le capacità iniziali apprese e con una responsabilità non da poco: sapete com’è, se sbaglio un calcolo mi viene giù l’edificio) e ti senti dire “Ma stai tutto il giorno a cazzeggiare sul pc, vai a fare il muratore!”
poi uno va a fare il muratore, spaccandosi la schiena 10 ore al giorno a gettar cemento, tagliare piastrelle, scavare e picconare come solo un bravo giocatore di Minecraft sa fare e ti senti dire “Ma quant’è che TI TOCCA fare questo lavoro?”
allora uno prova a trasformare una passione in una professione, creare contenuti, realizzare video, e dopo aver impiegato tutto il tempo libero rimasto (la bevanda la potete anche accompagnare con una torta allegoria del mio tempo libero, sempre più smozzicato) ti senti dire “Ma una passione non è un lavoro, non ti dovrei pagare”
Fumo.
Ora che siete arrivati a questo punto, probabilmente tutto il fumo se n’è andato, tutte le frasi in più se ne sono volate via, vi resta solo il succo della questione.
Avete notato che a nessuna delle persone che ho citato, oltre mio padre ed il prof dell’inizio, freghi qualcosa della persona alla quale si rivolgono, ovvero me?
Si mette il lavoro DAVANTI alla persona stessa, prescindendo dalla presenza fisica con cui stai interagendo. Fuffa, fumo, di cui fondamentalmente non ne rimane nulla, dopo che l’hai capito.