Io sono, tu 6: Episodio Tre – La Chimera


“Tu, 6”.
BUIO
La nostra condizione di punto di vista non ha più un senso, ormai non c’è nessuna luce che si infranga, nessuna ombra tracciata, solo un grande nero; e quel suono che continua come un eco, semplice e ridondante. A forza di ascoltare questa frase, sentiamo le parole allontanarsi sempre più l’una dall’altra. C’è una virgola che piano piano si fa spazio la dove non dovrebbe e diventa sempre più marcata, tagliando la carta immaginaria su cui quelle parole sono marchiate a fuoco. In quell’atto, la virgola squarcia il foglio e la scintilla fa ritornare la luce. Siamo ancora in quell’ingresso con lo specchio, ormai del tutto vuoto, tutto è tornato alla normalità, o quasi. Respiriamo, appoggiamo una mano sul cuore, sentiamo una forte ansia. Mano? cuore? Perché non siamo più un punto di vista? una telecamera incorporea? Possibile che quella figura nello specchio ci abbia trascinato in questo mondo? Domande sottovoce nella testa ancora dolorante dopo il tonfo. Gli occhi ritornano a vedere e si poggiano sullo specchio e mano a mano che aumenta la qualità dell’immagine, scopriamo dei movimenti trasparenti, una sagoma che è la nostra, invisibile, ma sappiamo che c’è, perché ne percepiamo la diversa densità, come l’aria calda che vibra a contatto con l’asfalto, ma molto più dolce, segue i nostri movimenti. Siamo noi. In questa nuova dimensione tentiamo di seguire i movimenti dell’uomo, la maniglia cede sotto il peso della nostra mano e schiude la porta. Davanti a noi un piccolo corridoio ci rivela delle scale. Ci precipitiamo verso l’ascensore che però si chiude e ci lascia soli in questo pianerottolo. Così decidiamo di scendere a piedi. Gli scalini regolari e numerosi sono avvolti da un tappeto rosso centrale, con dei piccoli tubicini dorati tra la pedata e l’alzata per far aderire il tessuto. Elegante. Sobrio. Ripetitivo. Scendiamo per una quantità enorme di piani senza fermarci e senza nessuna fatica accumulata. Ad un certo punto incrociamo un altro uomo, in giacca grigia e cravatta. Sta leggendo un quotidiano molto attentamente e notiamo che sa perfettamente dove si trovano i gradini, segno che conosce bene questo palazzo. L’uomo, noncurante ci viene incontro e ci attraversa e prosegue la sua salita senza nessun intoppo. L’avventimento ci lascia stupiti, siamo di carne ma in realtà non lo siamo, siamo invisibili. Ma il pensiero di trovare quell’uomo con la camicia hawaiana è troppo forte, così ci precipitiamo per il resto delle scale e successivamente ci catapultiamo sulla strada. In alto osserviamo palazzi che grattano il cielo, grigi monoliti immobili; in basso il caos delle persone, che scivolano velocemente sui marciapiedi, diretti in chissà quale posto. Tutto è uguale, il marciapiede grigio, i palazzi grigi, i passanti grigi che portano valigette grigie, così pensiamo di trovare facilmente il nostro uomo. Cerchiamo quei fiori bianchi sul fondo rosso che indossa, zoomiamo sulle singole persone, ma vediamo solo una marea indistinta.
E poi lo troviamo quel colore. Ma qualcosa è diverso. E’ un fiore bianco tra dei capelli rossi.

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